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CORRUZIONE - PUBBLICO UFFICIALE - AMMINISTRATORE DI ENTE PUBBLICO - CRITERI DISCRETIVI - NECESSITA' DI UN RUOLO PARTECIPATIVO DEL PRIVATO (Artt. 319, 319 bis, 321 e 61 n. 2 c.p.)

Tribunale di Milano – sez. VII – ud. 22 gennaio 1999 – Pres. Est. Verga.

Ai sensi dell’art. 357 c.p. la qualifica di pubblico ufficiale deve essere riconosciuta a quei soggetti che, pubblici dipendenti o semplici privati possono e debbono, nell’ambito di una potestà regolata dal diritto pubblico formare e manifestare la volontà della pubblica amministrazione oppure esercitare poteri autoritativi, deliberativi o certificativi. Il soggetto che esercita una attività collettivizzata, quale espressione dell’ente pubblico che lo ha istituito per l’esercizio di un’attività propria dello Stato, partecipa nell’esercizio della relativa attività, delle attribuzioni dell’ente istitutivo ed esercita gli stessi poteri a questo spettanti, seppure ovviamente nei limiti ed in relazione ai fini perseguiti. Rivestono dunque la qualifica di pubblici ufficiali gli amministratori di un ente pubblico, poi trasformato in società per azioni ma attraverso il quale lo Stato esercita un servizio pubblico essenziale, nel momento in cui esercitano attività gestionali connesse al fine istituzionale dell’impresa-ente cui sono stati preposti.

In ordine al criterio discretivo più idoneo a fungere da discrimine tra le fattispecie di corruzione e di concussione, deve respingersi il parametro tradizionale dell’iniziativa proveniente dal privato o dal pubblico agente, così come da solo inadeguato appare l’altro criterio ravvisato nel profitto ingiusto perseguito dal privato. L’elemento decisivo concerne invero la sussistenza o meno della partecipazione o collaborazione del privato nella procedura che, come risultato finale, sfocia nell’atto del pubblico funzionario e nel vantaggio del privato. Mentre la corruzione è caratterizzata da un libero accordo, per cui le parti agiscono su un piano di sostanziale parità, nella concussione il privato si trova in una condizione di soggezione e la sua volontà è viziata da timore od errore. La partecipazione e collaborazione del privato nella trattativa che porta al risultato finale è indice del fatto che lo stesso è pienamente consapevole dell’antigiurdicità dell’atto offerto dal pubblico ufficiale, accettando di pagare o sollecitando la ricezione dell’iniqua mercede agisce in piena coscienza, il suo consenso non solo non è viziato, ma è finalizzato, al pari di quello dell’intraneus a realizzare un indebito lucro in condizioni di parità contrattuale.

Nella fattispecie, qualificata dal giudice come corruzione impropria susseguente, il versamento del denaro da parte del privato non era collegato alla compravendita di un atto formato nell’interesse di quest’ultimo, e quindi il pactum sceleris non aveva per oggetto il baratto di una atto contrario agli interessi della P.A. Si trattava invece di un pagamento successivo all’atto già compiuto in assenza di qualsiasi baratto e rispetto al quale non era stato provato alcun profilo di illegalità.

Pro Guglielmo Gulotta

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