Artt. 110, 595 c. 1, 2 e 3 c.p., 30 c. 4 e
Anche per la satira, comunque, non può prescindersi dal limite della verità allorché la stessa abbia – come nel caso di specie – contenuti informativi. Pur essendo consentita una deformazione della realtà, oppure una sottolineatura icastica di un comportamento criticabile, la rappresentazione alterata non deve essere ingannevole fino al punto di attribuire al preso a bersaglio comportamenti o pensieri non corrispondenti al vero. Il pubblico destinatario personaggio deve essere avvertito della frattura esistente tra la realtà e la rappresentazione fornita (il che spesso avviene mediante la stessa evidenza dell’iperbole), cosicché il riso suscitato non trova causa in un ingannevole rappresentazione della realtà, bensì nell’interpretazione umoristica e caricaturale di un fatto vero.
Fattispecie in cui due noti comici, durante una trasmissione satirica, hanno evidenziato in modo caricaturale e criticandolo, l’inusuale comportamento di un alto funzionario addetto all’ordine pubblico che per identificare un dimostrante, ricorre allo sfilamento del portafogli, con destrezza tale da far sì che il proprietario, non accortosi all’istante dell’accaduto, poco dopo grida al furto).
La satira scherza su condotte censurandole con intenti moralistici. Non si voleva dire che il funzionario di polizia era un borseggiatore ma si scherzava sul fatto che non essendolo potesse apparire come tale. L’accusa sosteneva che veniva deriso l’essere, noi abbiamo sostenuto che si scherzava sull’apparire.
(G.Gulotta, A. Sirani/